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Articoli

Parliamo ancora di poesia? Ma sì dai!

di Antonio Ciminiera: 27 Ottobre 2016

 

 

"Partigiano, come poeta, è parola assoluta, rigettante ogni gradualità" lo scrisse il grande Beppe Fenoglio, nel romanzo Il partigiano Johnny. Già, la parola assoluta è come un lampo che il poeta coglie dentro di sé. Per Ungaretti bisogna ritrovare la parola poetica nella profondità abissale dell’io perché essa possa riacquistare il suo valore essenziale e primigenio, in quanto l’uso e la comunicazione di secoli ha fatto perdere alla parola il suo valore originario. E' compito del poeta ridare vigore alla "parola". Soltanto chi se lo può permettere dunque (pochissimi), oggi può definirsi un poeta. Non è cosa facile, oggi non si legge più poesia perchè tutti, proprio tutti, credono di essere in grado di scrivere poesie, e un mugnaio non va a comprar farina da un'altro mugnaio (colpa degli editori disonesti che, per battere cassa, pubblicano ogni genere di porcheria). Se poi la farina e di pessima qualità, non importa: chi ha la fortuna di conoscere qualcuno, una bella pedata verso l'alto e diventi un Dio! Non vi è più selezione, troppa carne al fuoco, tanta da averne nausea. Intoniamo il De profundis dunque, amici cari, non alla poesia ma al lettore. Non è morta la poesia, perchè di poeti bravi ce ne sono ancora, ma è morto il lettore e i pochi poeti "autentici" rimasti, si perdono nella cloaca maxima della "sletteratura" moderna.

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Antonio Ciminiera

L’Italia è una repubblica democratica fondata sulla prova: di BartolomeoSmaldone: 22 Ottobre 2016

 

L’Italia è una repubblica democratica fondata sulla prova. Nel senso che in Italia ci provano un po’ tutti a fare quello che proprio non saprebbero fare, con l’ausilio di santini o di santoni o di santissimi in paradiso.
Non servono talenti particolari o curricula stellari; nella repubblica dei provatori è sufficiente avere una buona dose di sfrontatezza, di irriverenza e soprattutto di approssimazione, che è cosa ben diversa dall’improvvisazione, per la quale è necessario comunque un minimo sindacale di talento.
E non v’è dubbio che questo scenario faccia di noi il paese della grandi opportunità, l’eldorado dei dilettanti, che qui possono ricevere la giusta gratificazione alla loro clamorosa incapacità, perché qui tutti possono essere cantanti senza saper cantare e pittori senza saper dipingere e politici senza aver letto Aristotele e Platone e allenatori dai moduli che ti porteranno sicuramente alla vittoria perché Higuain è meglio di Icardi che è meglio di Immobile che è meglio di Gabbiadini che è meglio della Fiera dell’Est e di tutti i pesci che vennero a galla. O forse non erano proprio pesci.

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Bartolomeno Smaldone

Cesare Pavese, anche i grandi possono sbagliare

di Antonio Ciminiera: 8 Maggio 2016

 

 

Anche i grandi sbagliano? Già, ma quando a farlo è Lui, allora ti interroghi e alla fine ti rendi conto che "siamo tutti uomini in carne e ossa" e che nessuno è infallibile, neppure l'autore che più ami. Sto parlando di Cesare Pavese che...udite udite, per l'Einaudi bocciò Se questo è un uomo di Primo Levi. Intendiamoci, non fu una bocciatura del testo, almeno così sembra, ma fu una scelta editoriale. Secondo Pavese, erano già stati pubblicati troppi libri che parlavano dei campi di concentramento. Sempre Pavese liquidò con queste parole «Non m'interessa affatto. A morte!» uno dei migliori scrittori italiani, Silvio Darzo, pseudonimo di Ezio Comparoni. L'Einaudi è nota per essere stata una delle casa editrice italiane a prendere più abbagli. Di chi è la colpa? Troppi galli nel pollaio dell'Einaudi? Probabilmente sì: Natalia Gizburg, Elio Vittorini che rifiutò, incredibile a dirsi, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; Italo Calvino che bocciò Testori e Volponi, e ancora una lunga lista di nomi ed opere che oggi rappresentano il fiore della letteratura italiana. L'infausta tradizione, purtroppo ancora continua, anche se molti, troppi nomi oggi, escono, inspiegabilmente indenni dalla mannaia Einaudi, nomi che non sarebbero stati pubblicati neppure a pagamento, dalla casa editrice più piccola d'Italia. E' proprio il caso di dire...le vie del signore per qualcuno...sono infinite.

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Antonio Ciminiera

Beppe Fenoglio, per capirlo meglio.

Di Antonio Ciminiera: 8 Maggio 2016

 

 

Beppe Fenoglio neorealista? No, o meglio, non fino in fondo. Qualcuno strabuzzerà gli occhi leggendo questa mia affermazione (non sono il solo a sostenerlo) ma ne sono fermamente convinto. Si possono classificare senza ombra di dubbio "testi di chiara impronta neorealista" i primi due scritti da Fenoglio e vale a dire "I ventitrè giorni della città di Alba" (un neorealismo post-bellico) e "La malora", non certamente i successivi romanzi brevi a partire da "Una questione privata" che si rifanno a uno stile vagamente epico e comunque già lontani dalla corrente neorealista della prima metà del '900. L'unico romanzo "lungo" scritto da Fenoglio fu il Partigiano Johnny, parzialmente autobiografico, pubblicato postumo, e che fu oggetto di travagliate vicende editoriali . Questo titolo va attribuito ai curatori della prima edizione Einaudi del 1968, non figurava nelle carte dell'autore, ritrovate alla sua morte.

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Antonio Ciminiera

Ezra Pound, è tempo di capirlo davvero

Di Nicola Vacca Pubblicato su Satisfiction: 22 Gennaio 2016

 

 

La libertà di stampa è diventata una farsa. È noto che la stampa è controllata se non dai proprietari dei giornali perlomeno da coloro che vi inseriscono pubblicità. La libertà di parola, al giorno d’oggi, è una burla se non include anche il diritto di poter parlare liberamente alla radio»

(Ezra Pound, da una lettera inviata il 4 agosto 1943 a Francis Biddle, avvocato generale degli Stati Uniti )

 

Ezra Pound resta un autore fondamentale. La sua opera poetica ha ispirato gran parte della poesia del Novecento. Nella grande poesia dei Cantos è riassunta la chiave della nostra modernità, la spiegazioni dei feroci dilemmi della contemporaneità: in questi magnifici versi troviamo la nostra storia, il retaggio culturale di un’epoca, ma soprattutto troviamo la nostra realtà presente.

La figura di Pound spazia a trecentosessanta gradi: poeta, critico d’arte, pensatore sociale, economico, politico, ma prima di tutto artefice del libero pensiero. Pochi scrittori hanno raggiunto il grado di unità tra arte e vita, pensiero e personalità, idea ed azione.

Pound fu un poeta combattente , che scelse la trincea delle idee, avendo come unica certezza la coerenza per un ideale pagò in prima persona le sue scelte.

Il poeta americano nella sua opera ha riassunto diversi schemi filosofici, letterari e poetici riuscendo a condensarli ,creandone di nuovi. In lui si notavano infatti i caratteri tipici di Dante, Confucio, Leopardi.

La grandezza di Pound non smette mai di stupire; perdersi nei labirinti della sua poesia tentacolare, ma densa di suggestioni, impressioni e idee, è ogni volta un’esperienza unica che aggiunge qualcosa alla nostra personale conoscenza.

Parte assoluta della grandezza poundiana sono i «Canti Pisani».

Raboni ha giustamente scritto che «Canti Pisani» è il più certo, il più vero, forse l’unico grande libro di poesia scaturito dalla tragedia della seconda guerra mondiale. «Mentre la grandezza dei “Cantos” può essere concepita ma non percepita, pensata ma non veramente sentita, quella dei “Canti Pisani” possiede, al contrario, una sorta di immediata evidenza fisica; di questa siamo certi leggendo, a quella possiamo credere, per così dire, soltanto nel ricordo».

Il poeta prigioniero delle ragioni della Storia (Pound fu prelevato il 3 maggio 1945 nella sua casa di Rapallo da due partigiani, viene in seguito condotto prima a Lavagna, poi a Genova dove subisce lunghi interrogatori e infine consegnato alla polizia militare alleata che lo interna in un campo di prigionia nei pressi di Pisa,dove compose i «Canti Pisani») non teme il peso dell’umiliazione e della sconfitta, ma trova nella grande forza comunicativa della poesia le ragioni per sfidare a viso aperto i vincitori e i loro soprusi .«Al poeta imprigionato- osserva ancora Raboni – bastano sette o otto versi per evocare, anzi per far sorgere fisicamente dal nulla un piccolo, allucinante stuolo di vittime più o meno sacrificali, dal vecchio contadino incolpevole oppresso da un’anonima sciagura all’asceta persiano suppliziato dai suoi nemici e al dittatore italiano trasformato in trofeo dalla folla assetata di vendetta;e un solo verso , una sola citazione basta per far echeggiare sulla visione, non meno solenne che minaccioso, un tuono da apocalisse».

In questa opera c’è tutto Pound poeta, Pound uomo che rifiutò di abiurare le proprie idee e fu coerente al punto da accettare tredici anni di internamento nel manicomio criminale, il Pound innamorato della bellezza e dell’arte. Ma anche l’uomo e il poeta che rifiutò di accettare una vita controllata di poteri anonimi,celati, contro i quali il popolo non domani, ma oggi, subito doveva insorgere, cancellandone la memoria.

Leggiamo oggi con la stessa meraviglia e lo stupore di ieri i «Canti Pisani», grande poesia dello scomodo maestro Ezra Pound che dalla casa dell’Eden non si stanca di insegnarci l’esaltante avventura della sua intramontabile modernità con la quale è impossibile non confrontarsi.

 

Nicola Vacca

 

 

Del fare poesia e delle sue ragioni

Di Nicola Vacca Pubblicato su Zonadisagio: 16 dicembre 2014

 

 

Oggi il poeta è tornato a sapere, ad avere gli occhi per vedere, e deliberatamente, vede e vuole vedere l’invisibile nel visibile. Oh, egli non cerca di violare  il segreto dei cuori. Soltanto la poesia- l’ho imparato terribilmente, lo so- può recuperare l’uomo, persino quando ogni occhio s’accorge ,per l’accumularsi delle disgrazie che la natura domina la ragione e che l’uomo è molto meno regolato dalla propria opera che non sia alla mercé dell’Elemento» .Così Ungaretti spiega le ragioni  della poesia.

Da queste parole ha preso il via la poesia del Novecento, a questi principi si sono ispirati  i più grandi poeti del secolo scorso, i quali  non hanno mai smesso nei loro versi di cercare prospettive di costruzione esistenziale  al cui centro  c’è l’uomo , la vita, i sentimenti . Nella grande comunità della «letteratura  come vita» il fare poesia  per i poeti di quella generazione, che si riconoscevano nella lezione di Ungaretti e in seguito  lo hanno anche superato,  ha rappresentato  l’unica via possibile  per testimoniare il diritto dell’umanità, garantirne la permanenza, affermare l’essenza profonda di tutti gli esseri.

Ungaretti ha insegnato che scrivere poesie, anzi vivere poeticamente, è un modo di essere  ed un modo di fare, di plasmare, di operare, di creare.  Vivere poeticamente vuol dire  credere che c’è posto per la poesia dovunque. In parte la poesia  è in tutte le cose  e le situazioni della vita.

La voce del poeta, così, si tempra nel contatto continuo  con la vita, in cui non mancano  né le gioie  né la sofferenza; essa diventa personale  quando riesce a  riprodurre autonomamente, con buona capacità rappresentativa, questa dinamica profonda , questa alternanza continua di festa e di lutto che è la vita nella sua intima essenza. Molti oggi si fingono poeti, probabilmente rincorrendo una gloria meschina  quanto improbabile.

La lezione Novecentesca di Giuseppe Ungaretti  ha  dato una risposta ad un interrogativo epocale. Dove risiede  l’autenticità del poeta?Nella strettissima connessione  fra poesia e vita, nella loro inestricabilità, nella loro co-essenza. O si è poeti  alla fine di un discorso difficile, rischioso , martoriante, oppure lo si fa. Ogni poeta  è un patrimonio di fatica , di gioie , di sangue, di sforzi.

Al di fuori di queste verità  non ci sono poeti e non c’è la poesia.Qui sta l’attualità della poesia e del poeta che la scrive. Come dicevamo prima, il poeta è il guardiano della vita, il guerriero che  sfodera la spada della parola e la conficca nel cuore delle cose per farle sanguinare di vero. Nel vero delle cose c’è l’esperienza, la realtà che non va descritta, ma il poeta ha il compito di riempire il suo caos con l’invenzione che soltanto l’itinerario di un’anima può assicurare.Sporcarsi le  mani con la vita questo deve far il poeta.Diffidate della poesia che non parla dell’amore, della morte, del dolore.

 

Nicola Vacca

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